IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel procedimento penale a
 carico di Marinaro Massimo, in atti qualificato, imputato del delitto
 di  cui  all'art.  73  del  d.P.R.  n.  309/1990  per  aver  detenuto
 illecitamente  e  posto  in  vendita  sostanza  stupefacente del tipo
 eroina di cui mgr 233 caduti in sequestro. In Torre Annunziata  il  7
 giugno 1991;
    Premesso  che nei confronti del Marinaro veniva emesso, in data 25
 giugno 1991, su conforme richiesta  del  p.m.,  decreto  di  giudizio
 immediato,  in  forza  delle seguenti fonti di prova: sequestro della
 sostanza ed esiti della consulenza tecnica;
    Considerato che la  notifica  del  decreto  avveniva  in  data  15
 ottobre  1991,  e con istanza del 22 ottobre 1991 l'imputato chiedeva
 di procedersi con il rito  abbreviato;  che  in  pari  data  il  p.m.
 prestava il proprio consenso al rito;
    Rilevato  che  in  data  23 ottobre 1991 questo giudice fissava il
 giudizio abbreviato per il giorno 21 novembre 1991;
    Tenuto conto che nelle more interveniva la sentenza n.  401  della
 Corte  costituzionale,  la  quale,  dichiarando  l'infondatezza della
 questione di legittimita' dell'art. 34,  secondo  comma  del  c.p.p.,
 sollevata  dalla  corte di appello di Brescia, affermava che la norma
 in questione gia' prevedeva l'ipotesi di incompatibilita' dedotta dal
 giudice remittente;
    Considerato in particolare che il ragionamento svolto dalla  Corte
 costituzionale  per  sostenere  la  decisione  poggiava su un duplice
 ordine di argomenti, uno dei quali di tenore letterale; che  da  tale
 argomentazione emerge come la stessa Corte riconosca lo sconfinamento
 del  legislatore delegato rispetto ai limiti assegnatigli dalla legge
 delega;  che  specificamente la direttiva n. 67 prescrive il "divieto
 di esercitare le funzioni di giudice del dibattimento ..",  con  cio'
 intendendo  limitare  l'incompatibilita' a tale fase processuale; che
 in sede di discussione fu espressamente richiesto se  le  indicazioni
 contenute  nella  direttiva in questione esaurissero tutte le ipotesi
 di incompatibilita', ed alla risposta  affermativa,  si  approvo'  la
 direttiva;  che  conferma  di  tale intenzione del legislatore sembra
 doversi ricavare anche dalla relazione al testo definitivo del c.p.p.
 (Gazzetta Ufficiale 24  ottobre  1989,  pag.  190)  dove  si  afferma
 testualmente  che  "si  e'  previsto  che l'imputato abbia l'onere di
 chiedere il giudizio  abbreviato  al  giudice  che  ha  disposto  con
 decreto  il  giudizio immediato, entro sette giorni dalla notifica di
 tale  decreto  (che  contiene  anche  l'avviso  circa   la   facolta'
 dell'imputato di chiedere, per l'appunto, il giudizio abbreviato). Il
 pubblico  ministero,  cui  l'imputato  ha  provveduto a notificare la
 richiesta, esprime il proprio consenso nei cinque giorni  successivi;
 verificati   l'ammissibilita'  della  richiesta  e  il  consenso  del
 pubblico ministero, il giudice fissa l'udienza e provvede nelle forme
 previste per il giudizio abbreviato"; che tale meccanismo emerge come
 il legislatore intendesse sussistente un'assoluta identita' personale
 dell'organo chiamato ad emettere il decreto di giudizio immediato e a
 celebrare il  successivo  giudizio  abbreviato;  che  l'impiego,  nel
 codice,  di locuzione piu' ampia "giudizio" di quella contenuta nella
 legge delega "dibattimento" configura un eccesso  della  delega,  ove
 non si intenda il termine "giudizio" come sinonimo di "dibattimento";
 che  ad  una  tale  interpretazione  non  ostano  particolari motivi,
 considerato che il g.i.p.  appare  chiamato  a  valutare  l'"evidenza
 della  prova"  non  con  riferimento  ad  un  giudizio prognostico di
 responsabilita'  (il  che  potrebbe  costituire  un  "pre-giudizio"),
 quanto  in  relazione  alla  necessita'  di celebrazione dell'udienza
 preliminare; che tale affermazione poggia soprattutto sul rilievo che
 il giudice che emette il decreto di giudizio immediato non si esprime
 in ordine alla responsabilita', tanto vero che  gli  e'  preclusa  la
 possibilita' di adottare la sentenza di non luogo a procedere ex art.
 129  del c.p.p.; che comunque, risolvendosi l'incompatibilita' in una
 riduzione della capacita' del giudice  a  provvedere,  ne  limita  la
 giurisdizione,  per  cui  non puo' formare oggetto di interpretazione
 estensiva (cfr.  Cass.  I,  5  luglio  1990,  pres.  Carnevale,  imp.
 Villani,   in   Foro   it.  1990,  II,  537);  che  nel  senso  della
 compatibilita' nel caso de quo si sono espressi numerosi Autori (cfr.
 Chiliberti-Roberti-Tuccillo,   Manuale   pratico   dei   procedimenti
 speciali,   Giuffre'  pag.  315;  Bellone,  I  riti  alternativi  nel
 procedimento pretorile, in Quaderni del C.S.M. n. 44 pag. 94;  Nappi,
 Guida  al  nuovo  c.p.p.,  Giuffre'  pagg. 231, 233 e soprattutto 31;
 Bonsignore, Brevi cenni in materia di  astensione:  pronuncia  in  un
 procedimento connesso, in arch. nuova proc. pen. 1991, pag. 426); che
 tuttavia  questo  giudice,  a  fronte dell'autorevole pronuncia della
 Corte costituzionale sopra richiamata, ritiene necessario prospettare
 la questione di legittimita' dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p.,
 nell'interpretazione suggerita dalla Corte stessa, per contrasto  con
 gli  artt.  76  e  77,  primo comma, della Costituzione, apparendo la
 risoluzione di  tale  questione  rilevante  per  la  trattazione  del
 procedimento;